Album di famiglia n.2
Viene qui pubblicato il secondo Album di Famiglia
Al fondo di fotografie conservate presso il Civico Archivio Fotografico di Milano e dedicate alla memoria di Antonio Boschi e di Marieda Di Stefano – a seguito dell’iniziale quaderno dello scorso anno introdotto da Alessandro Mendini. La serie di fotografie che qui si presentano riguarda gli anni giovanili della coppia, prima e dopo il matrimonio, ed ha come argomento comune gli svaghi del tempo libero: gli sport, le vacanze, le automobili.
Le vacanze sono testimoniate soprattutto da immagini di località di mare; suddivise equamente fra le aree turistiche più frequentate negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento: la riviera romagnola e la costa ligure. Rimane sconosciuto il geniale autore di alcune fotografie di gruppo (che ricordano il cinema del periodo di transizione fra muto e sonoro): le immagini sono spiritose e tenere, e Marieda è ritratta anche in bicicletta su uno sfondo di bandiere, sul lungomare di Riccione, o accanto ad un pattino che porta il suo nome. In un’altra fotografia Marieda nuota davanti ad un grande idrovolante: si tratta di uno dei famosi Savoia-Marchetti S.55, che in varie occasioni furono protagonisti nello stesso periodo delle celebri trasvolate oceaniche.
Nei ricordi di montagna non può mancare il Sestriere, con lo sfondo del basamento del modernissimo hotel a torre cilindrica, da poco inaugurato (Natale 1935); mentre è dell’anno successivo un fotomontaggio che mostra Marieda sulle Dolomiti, impegnata in una evoluzione fuori pista. Una presenza particolare è costituita dalle fotografie che hanno per argomento il tennis, grande passione di Marieda che lo praticò finchè fu possibile, spesso insieme con l’amica Migno Amigoni. Gli anni fra le due guerre mondiali del Novecento furono forse il periodo in cui il tennis meglio manifestò il mirabile equilibrio fra l’eleganza aristocratica dei gesti e la tecnica agonistica.
All’inizio degli anni ‘30 le leggere scarpe di cuoio dei giocatori furono abbandonate per le più funzionali ed elastiche calzature di tela e di gomma; come pure scomparvero i piatti berretti baschi. Rimase, naturalmente, la tradizione della divisa completamente bianca (les gestes blanches), con pantaloni lunghi per gli uomini (almeno sino alla soglia degli anni ‘40), e gonne al ginocchio per le giocatrici.
Nel tennis, del resto, l’eleganza esteriore non era che l’espressione di una disciplina interiore e di valori del carattere: la lealtà, la capacità di sopportare sofferenza e fatica continuando a mostrarsi imperturbabile, l’umiltà di riprovare dopo gli sbagli, l’orgoglio di una solitaria indipendenza. Altre immagini sono dedicate alle automobili, fra le quali risaltano in primo piano alcuni esemplari Bugatti, altro fra i miti del Novecento nel periodo fra le due guerre mondiali. Il suo fondatore, il milanese Ettore Bugatti, aveva realizzato in Alsazia, a Molsheim, qualcosa di più grande e complesso di una fabbrica di automobili.
La grande proprietà, che andò via via estendendosi con il successo della produzione, comprendeva, oltre agli edifici industriali, la grande casa patriarcale circondata da un vasto giardino, le scuderie dei cavalli e più all’estremo sud il Castello di St. Jean, dove il proprietario riceveva principi e sultani, attratti dalla perfezione delle straordinarie vetture. Ettore Bugatti è fotografato quasi sempre a cavallo (e come tale è ritratto in una scultura di Troubetzkoy); forse rimaneva in sella anche quando controllava nella fabbrica le varie fasi della produzione. Le automobili sono prevalentemente sportive: evocano capelli al vento e velocità temerarie come in un noto manifesto di Dudovich (col motto: “C’è una Bugatti, non si passa!”). Il mito è tuttora vivente, come testimoniano anche da noi Il Bugatti Club Italia e il registro annuale, con il pedigree delle auto ancora in circolazione: contese da collezionisti, restaurate come opere d’arte e spesso ricostruite da un unico pezzo originario come uno chassis arrugginito, rinate a nuova vita con vernici lucide e colori brillanti.
Proprio dalla amichevole collaborazione di Federico Robutti, curatore della collezione di auto storiche “Quattro Ruote”, e del Notaio Francesco Guasti, Presidente del Bugatti Club Italia e responsabile del registro, abbiamo potuto identificare dalla targa che risultava leggibile due delle tre Bugatti (la quarta autovettura è una Renault Monasix del 1930, con il caratteristico frontale). Così ci scrive il Notaio Guasti: “In particolare l’auto targata 12638 MI, telaio 40544, è una tipo 40, vettura di classe media, 4 cilindri, 1500 di cilindrata, che è stata intestata ad Antonio Boschi tra il 1930 ed il 1934. Di questa vettura si sono perse le tracce e non risulta sopravvissuta alla guerra. L’altra vettura di cui si vede la targa è una tipo 43, telaio 43199.
Si tratta di una vettura di grande interesse tecnico e storico, 8 cilindri in linea, 2300 di cilindrata con compressore, la prima macchina di serie al mondo che raggiungeva i 160 km all’ora. Dalla visura del P.R.A. potrai notare che il primo proprietario è stato Aymo Maggi, noto corridore degli anni ‘20, fondatore della 1000 Miglia. Terzo proprietario della vettura risulta essere stato Agostino Di Stefano tra il 1932 ed il 1933. Purtroppo neppure questa importante vettura risulta essere giunta sino ai nostri giorni”. Agostino Di Stefano era fratello di Marieda, e fu appassionato automobilista anche a livello agonistico.
Ezio Antonini